Miti ed Archetipi in Psicologia

 Crederei solo a un Dio che sapesse danzare […] Ora sono leggero, ora volo, ora io mi vedo al di sotto, ora in me danza un Dio.

       [Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra]

 

Ad Andrea mio grande mentore nei primi passi del mio lungo viaggio…

 1.     Miti ed Archetipi nella Psicologia Analitica

E’ interessante considerare che ogni tipo di Psicologia possa partire dal seguente postulato:

Le Immagini riproducono più o meno fedelmente Emozioni, Sensazioni, Sentimenti che ci appartengono e che trasferiamo su oggetti esterni usando la proiezione”

L’inconscio ha una sua architettura ed è strutturato come un linguaggio che si esprime con immagini, visioni e fantasie. La  psicologia si aggancia alla mitologia per riprendere a“fare anima”; non di una sola cultura, non solo di un popolo ma ad un livello più ampio cioè universale. In sostanza, riconosce se stessa con l’esplorazione simbolica che il mito le procura. Quando si occupa di miti e del loro significato simbolico entra in contatto con immagini primarie ed arcaiche. Queste sono determinate da elementi formativi  la cui efficacia può constatarsi nelle manifestazioni dell’anima: visioni, poesia, creazioni artistiche, modo soggettivo di modellare la vita individuale e collettiva che C.G.Jung ha battezzato Archetipi.

Gli Archetipi sono strutture profonde in grado di indicare le vie più autentiche dell’esistenza. Parlano direttamente alla nostra anima, sono capaci di riflettere una struttura psicologica umana di base, contengono un significato universale, espressione di un processo comune a tutti. 

Quando si parla di archetipi:

v inevitabile è il ricorso al mito e al significato simbolico ad esso connesso;

v si entra in contatto con il mondo di 4/5 mila anni fa (almeno) un’era in cui l’Uomo non potendo darsi spiegazione di eventi (climatici e atmosferici, ciclici) ha “creato” gli dei proiettando fuori da sé emozioni, sensazioni, pulsioni, istinti;

v come la nostra personalità ha tante sfaccettature;

v l’archetipo può essere attivo e in tal caso porta alla conoscenza, inconscio (latente) e in questo caso domina passando a polarizzazioni positive/negative;

v sollecitazioni dinamiche si risvegliano quando siamo posti davanti ad un racconto mitico/leggendario/favolistico;

v ogni materia immaginata, meditata è immagine di intimità dentro; sollecita l’affioramento di impronte di aspetti accoglienti, invitanti ma anche dinamiche di attrazione, fascino, richiamo unitamente a polarità di opposizione che si evidenziano sotto il segno di ostilità, rifiuto, distruttività.

Gli archetipi principali sono molteplici e sono in relazione tra loro in una dinamica di opposizione o di reciprocità. Nel percorso da un polo all’altro emergono gli archetipi secondari, non per questo meno importanti. Tra i più “primari”, vi è quello che Jung ha definito come l’Immagine primordiale o Archetipo della Grande Madre.

Grande Madre, e questo va sottolineato, è un aspetto parziale anche se centrale dell’archetipo del femminile. I due termini Madre e Grande racchiudono in essi un simbolismo dotato di una potente componente emotiva.

v Madre indica una complessa situazione psicologica dell’IO oltre ad una relazione di filiazione;

v Grande è espressione che indica il simbolo di superiorità che tale figura possiede nei riguardi di tutto ciò che è stato generato.

Le immagini simboliche sia positive che negative sono davvero tante e comprendono Dee-Fate/Demoni/Ninfe/Fantasmi/Mostri. L’uomo primitivo concepiva la divinità come fusione di Bene e Male; Solidarietà e Ostilità il tutto in un’unica Unità. Per la Psicologia analitica gli elementi costitutivi dell’Inconscio collettivo sono gli archetipi. Questi non sono entità concrete che esistono nel tempo e nello spazio come noi li concepiamo. Sono immagini interiori che agiscono nella Psiche Umana . Fattori oscuri, predisposizioni che in determinati momenti iniziano ad agire ordinando il materiale della coscienza in figure determinate.

Sono eterni, invisibili e universali. Forza agglutinante della potenza simbolica e numinosa. L’archetipo (in generale) è costituito da un suo simbolismo articolato che contiene differenti immagini con altrettanti significati a forte componente emotiva e condiziona il comportamento umano. (Jung 1954).

L’Uomo arcaico si accostava alla realtà  mitologicamente tramite cioè la formazione di immagini arcaiche che proiettava sul mondo.

E’ lo stesso modo che utilizza il bambino piccolo quando riversa sulla propria madre nel suo immaginario, la Grande Madre, percepita infatti da quest’ultimo come onnipotente e numinosa da cui dipendere totalmente. La vita dell’uomo alle sue origini non è diretta  dai concetti ma dalle immagini primordiali; non è indirizzata razionalmente ma da  Istinti e Simboli.

  1. 2.     Le figure archetipiche come rappresentazione del Sé.

Nonostante il loro carattere del tutto collettivo, le immagini mitologiche ed archetipiche sono legate in modo indissolubile all’individuo. Spesso vengono trascurate, il pensiero accademico analizza la struttura, abituando la nostra mente a reprimere le reazioni emotive, guidandola all’obiettività.

Secondo Jung questo procedimento è, fino ad un certo punto, corretto ma in psicologia non può essere applicato nella stessa maniera di come ci insegna la scienza esatta. Infatti, è questa la difficile posizione della psicologia intesa come scienza, perché questa disciplina, al contrario di tutte le altre, non può permettersi di trascurare l’aspetto emotivo. Essa deve prendere in esame la qualità del sentimento, il valore emotivo di fattori esterni ed interni, compresa anche la reazione emotiva dell’osservatore.

L’uomo vive tra due fuochi: il mondo interno della vita istintuale, degli archetipi e il mondo esterno del conformismo, degli stereotipi, delle maschere.

Gli Archetipi sono strutture, predisposizioni potenti ammantati dell’immagine, della mitologia, delle leggende, dei racconti, delle fiabe; sono contraddistinti da Impulsi, Emozioni, Bisogni che caratterizzano e plasmano la personalità.

Gli istinti sono indomabili, provocatori, irriverenti, dirompenti, fluidi come l’elemento primordiale da dove ha origine la vita (acqua), sono infiammanti, passionali e ardenti (fuoco), radicati e stabili, germinativi e gestazionali (terra), sottili, leggeri, volubili (aria). Nonostante le raffinate procedure di indagine, nonostante  i concetti causa effetto siano la bandiera della ragione razionale e razionalizzante, ebbene le “zolle primordiali” – strutture archetipali – sono caparbiamente e bizzarramente stabili nel loro esistere e resistere.

Stanno accovacciate, silenti ma non troppo, frementi e mai sconfitte, mai domate, mai ingabbiate in angusti spazi, pronte a riattualizzarsi per altre vie e con altri ritmi (il sogno, le fantasie, le immagini, i simboli), quasi a voler rimarcare quanto il pensiero prelogico sia ancora presente nell’uomo dell’era della tecnologia avanzata, della globalizzazione, della rete.

Nel 1868 Adolf  Bastian formulò l’ipotesi secondo la quale tutti i temi mitologici fondamentali sarebbero i “pensieri elementari” dell’umanità. Era convinto che tutta l’umanità avesse una riserva di questi Elementargedanken, innati in ogni individuo, essi sono universali e appaiono in diverse varianti in India, in Egitto, in Mesopotamia, in Cina, In Africa, in Europa, nei Mari del sud, ecc.

Come non vedere nell’idea di Bastian una nozione anticipatrice del futuro concetto di Archetipo e di immagine archetipica di C.G.Jung? Per lo psichiatra svizzero l’Archetipo è la disposizione strutturale fondamentale e universale (comune a tutti gli uomini e in tutte le epoche) a produrre un certo mitologema, ovvero la prima essenza archetipica del mito prima che le culture o lo diverse civiltà lo plasmino a proprio piacimento.

Immaginare significa fare immagini che non sono certamente copie della realtà come noi la conosciamo.

Le nostre dinamiche interiori, i nostri conflitti, oltre al vissuto personale, spesso attingono a un patrimonio universale di modelli riconoscibili in tutti i contesti culturali.

Ogni archetipo comporta una certa visione del mondo.
E’ vitale rendere espliciti i miti e gli archetipi che governano le nostre vite; quando non li nominiamo diveniamo loro ostaggi e non possiamo fare altro che viverne la trama che essi hanno tessuto per noi. Quando, al contrario diamo loro un nome, allora abbiamo una scelta nella risposta.
Per spiegare meglio: il Mito di Edipo ed il Mito di Narciso, ad esempio, sono due classici esempi di Archetipi di personalità e di condotte comportamentali.

Secondo Bolen, Era (Giunone per i Romani), Demetra e Persefone (Proserpina), appaiono come dee vulnerabili perché trovano piena realizzazione di sé solo con altre persone, sono dipendenti da qualcuno; Era/Zeus (moglie di…), Demetra/Persefone (madre/figlia). Esiste poi un gruppo di altre tre dee, Artemide (Diana per i Romani), Estia (Vesta), Athena (Minerva), queste sono dee invulnerabili: si realizzano pienamente senza necessitare dell’appoggio di altri, sono indipendenti, autosufficienti, traggono piacere e gratificazione da sé stesse.

Infine, ma non per ultima, Afrodite (Venere) è una dea che non rientra nelle due tipologie appena dette semplicemente perché le incarna entrambe.
Continuando a seguire linee junghiane e visto che sono state appena citate alcuni archetipi femminili, per quello che riguarda l’universo maschile, tre sono le figure principali, gli dei padri: Zeus (Giove), Poseidone (Nettuno), Ade (Plutone).  Un uomo ne incarnerebbe uno di loro, mentre gli dei figli Ares (Marte), Ermes (Mercurio), Efesto (Vulcano), Apollo, Dioniso corrisponderebbero agli archetipi presenti in modo minore in un individuo.

In ogni uomo possono essere presenti vari archetipi in misura maggiore o minore, sia maschili che femminili, ma non sarà utile prendere visione del proprio archetipo e pensare di avere concluso; la vita è varia, mutevole ed attaccarsi semplicemente solo al proprio archetipo potrebbe essere più una “punizione” o una “condanna”, che una crescita.

Probabilmente l’accettare alcune accezioni di sé attraverso un linguaggio metaforico-mitologico può essere un buon punto di partenza per poter coltivare e sviluppare il proprio “essere primario”.

L’Archetipo non è un’entità concreta che esiste nel tempo e nello spazio in senso lato, bensì potrebbe essere possibile definirlo come una rappresentazione del Sé “primaria”, ovvero come una sorta di energia psichica matrice.

Jung era esperto ed appassionato alla cultura greca, per questo il suo rapporto con gli archetipi è sempre stato basato sulle metafore che tale cultura mitologica gli portava di fronte.

In realtà esistono molte altre culture ataviche ricche di rappresentazioni mitologico-archetipiche. Fra di esse ne esiste una ancora attiva ed ottimamente preservata nei suoi principi, ovvero il Candomblé di Bahia.

  1. 3.     Il Candomblé

Il Candomblé è una religione brasiliana di origine africana, diffusa nel Nuovo Mondo con la deportazione, iniziata nella prima metà del 1500 e finita verso la metà del 1800, di circa sette milioni di schiavi africani provenienti dalla Guinea, dall’Angola, dal Congo, dal Ghana, dal Togo, dal Benin e dalla Nigeria (Bastide, 1958).

Per una serie di motivi sociali, culturali e storici, l’etnia iorubá, proveniente dalla Nigeria e dal Benin, riuscì ad imporsi sulle altre popolazioni deportate, soprattutto in ambito religioso. Appena arrivati in Brasile, gli schiavi venivano forzatamente e velocemente evangelizzati e battezzati, con un processo ed un’incidenza, in realtà, molto superficiali. Alcuni storici parlano addirittura di due differenti cattolicesimi, uno insegnato ai bianchi ed uno, diverso e “minore”, indirizzato ai neri.

Molta importanza veniva data al culto dei Santi, che si rivelò, in effetti, un ottimo mezzo di copertura per l’adorazione da parte degli schiavi delle proprie divinità originarie: gli Orixás. Si creò così un sincretismo tra alcuni Santi cattolici e quegli Orixás che vi somigliavano per iconografia, agiografia o liturgia. Così Omolu, divinità del vaiolo, divenne San Lazzaro, a causa delle numerose piaghe con cui entrambi venivano raffigurati, Ogun si identificò con San Giorgio, per il comune spirito combattivo.

Verso il 1830 un gruppo di schiave affrancate originarie della località nigeriana di Keto fondò il primo terreiro di Candomblé a Salvador de Bahia, lo Iyá Omim Axé Airá Intilé, più conosciuto come Casa Branca do Engenho Velho. Il terreiro, chiamato anche Ilê Axé, è il tempio dove vengono celebrate la maggior parte delle cerimonie ed è pensato come una ricostruzione dell’Africa mistica.
Al suo interno sono presenti una serie di casette dove sono custoditi gli assentamentos, oggetti sacri impregnati dell’energia dell’Orixá. Il sacerdote è chiamato Pai de Santo o Babalorixá (Mãe de Santo o Ialorixá se femmina) e spesso vive all’interno del terriero.
Il pantheon del Candomblé è costituito da una divinità superiore, Olodumarê, un Deus otiosus indifferente alle esigenze degli uomini. Il culto dei fedeli è diretto, perciò, a divinità a lui sottoposte: gli Orixás. In Africa era presente un numero molto elevato di Orixás, ma in Brasile ricevono il culto solo una ventina.

Nel Candomblé si crede che ogni persona, fin dalla nascita, è protetta da un Orixá, chiamato Orixá de cabeça, dal quale assimila una serie di caratteristiche riguardanti l’aspetto fisico, il carattere, la socialità e il comportamento sessuale. Per cui un figlio di Xangô è fisicamente robusto, amante dei piaceri della vita, con un innato senso della giustizia, mentre le figlie di Yemanjá sono prosperose e materne, e le figlie di Oxum sensuali e civettuole.

Oltre al primo Orixá, ve ne è un altro, definito Orixá juntó, che può smussare o rinvigorire le caratteristiche del primo. Spesso, durante le cerimonie religiose, alcuni iniziati cadono in trance e vengono posseduti dai loro Orixás de cabeça, che, attraverso il corpo del figlio, danzano e distribuiscono axé, l’energia sacra, elargendo conforto e benedizioni.

 

  1. 4.     Identità archetipica e personalità

 

Il fedele di Candomblé ha la possibilità di riconoscersi nelle caratteristiche del proprio Orixá. Infatti, il Santo rappresenta un archetipo di personalità ed il fedele assume le caratteristiche comportamentali e fisiche del proprio Orixá.

Una persona di Yemanjá è calma ed accogliente, prosperosa matrona amante dei bambini; i figli di Oxalufã sono tranquilli e riflessivi e raggiungono i propri obiettivi solo con molti sacrifici; quelli di Xangô sono forti e decisi, e così via.

 

Parlando dell’identificazione mitica nel Candomblé brasiliano, Augras (1992) sostiene che vi è un’interazione tra il processo di “duplicazione” per cui il fedele è guidato fin dalla nascita dalle caratteristiche del proprio Santo e quello di “metamorfosi”, nel quale l’assunzione delle caratteristiche del proprio Orixá dà rilievo a tratti personali poco evidenti prima dell’iniziazione, fino a produrre un cambiamento nella personalità dell’iniziato. Un figlio di Xangô, destinato dal carattere e dalle circostanze ad essere debole ed insicuro, potrà trovare il coraggio di farsi valere e rispettare, perché il suo Santo a ciò lo orienta. Un figlio di Oxalá, per sé facile agli scatti d’ira, dopo l’iniziazione potrebbe più facilmente contenerli, sapendo che il padre degli dei ama la tranquillità.

Comunque sia, “Il doppio e la metamorfosi non sono affatto aspetti antagonisti dell’essere. Bisogna duplicarsi per trasformarsi” (Augras, 1992).

L’integrazione dei due processi è bene espressa a livello cultuale: “Come l’iniziazione esprime la necessità di morire per rinascere su un piano trascendente, la possessione mostra che l’uomo può duplicarsi per incarnare le divinità, e che le divinità devono moltiplicarsi per manifestarsi concretamente” (Augras, 1992).
L’identificazione mitica e il vissuto di protezione del proprio Orixá è un ulteriore elemento di conforto e fortificazione. Sapendo che c’è sempre qualcuno che veglia e sostiene, si è portati ad avere un atteggiamento di maggior accettazione nei confronti della vita. Gli ostacoli possono non essere più vissuti come qualcosa di ineluttabile che si frappone tra la persona e il raggiungimento del successo, ma diventano una prova, un mezzo dell’Orixá per guidare ad una meta che lui solo conosce, ma che sicuramente non può mirare a danneggiare il suo figlio.

Ogni situazione problematica, quindi, può essere vissuta come superabile e finalizzata a qualche importante insegnamento. Nelle storie di vita e nelle narrazioni su come il Candomblé abbia cambiato la propria vita appare evidente come i nostri soggetti si sentano aiutati e protetti dagli Orixás. I sentimenti di accettazione incondizionata (tipicamente materna) e sostegno-aiuto e autorità (tipicamente paterni) sembrano essere ricercati non solo all’interno della família de Santo, ma anche, ad un livello spirituale, negli Orixás.

  1. 5.     Considerazioni finali

 

I miti, come suggerisce Neumann, vanno presi come strumenti di comprensione di aspetti psicologici dell’umanità. In “Amore e Psiche” l’autore citato, mette in risalto l’uso della Mitologia come mezzo per comprendere e per descrivere, ad esempio, la Psicologia femminile, è, in altre parole un formidabile potente strumento di comprensione profonda dell’uomo.

Potersi identificare con il proprio archetipo,  può permettere di capire determinate caratteristiche di se stessi e di reinterpretare i propri eventuali “difetti” alla luce di un contesto più universale ed istintivo. Se, da una parte, questo può permettere una maggior accettazione e presa di coscienza dei propri limiti, dall’altra può costituire un motivo di deresponsabilizzazione rispetto a quelle parti di se stessi che non si riescono ad accettare facilmente. Alleggerendo infatti il carico dei sensi di colpa si può così dar vita un movimento interiore, che può generare a sua volta una presa di coscienza più ampia ed allo stesso tempo più personale ed intima di se stessi.

In generale, quando una persona, sia essa uomo o donna, viene a conoscenza che esiste una dimensione mitica in ciò che sta facendo , in ciò che egli esprime attraverso emozioni ed azioni, quella conoscenza è una specie di motore propulsore che spinge, stimola e, nello stesso tempo ispira, attivando centri interiori profondamente creativi.  Ed una volta attivati l’individuo si trova ad acquisire una comprensione diversa, stupefacente, potente di fatti, eventi, episodi della propria vita.

I Miti affascinano,  evocano sentimenti e immaginazione ed esplorano temi, motivi, che sono frammenti del patrimonio  umano collettivo.

Mentre da una parte, la cultura occidentale si rivolge ai miti dell’antica Grecia la cultura Africana si rivolge al culto dei propri Orixàs per trovare allo stesso modo assonanza con le matrici archetipiche dell’universo umano.

Gli Archetipi, infine,  possono esser raffigurati come potenti modelli interni responsabili delle principali differenze che distinguono le donne fra loro e gli uomini fra loro. In ogni uomo e in ogni donna possono essere presenti più archetipi che accompagno l’individuo attraverso le diverse fasi della sua vita.

 

 

INDICE:

  • Miti ed Archetipi nella Psicologia Analitica     da pag. 3 a 6
  • Le figure archetipiche come rappresentazione del Sé.

da pag. 6 a 10

  • Il Candomblé                                                   da pag. 10 a 12

 

 

  • Identità archetipica e personalità                    da pag. 12 a 14

 

 

  • Considerazioni finali                                       da pag. 14 a 15

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:
Aletti. M. (2004). Identità religiosa, pluralismo, fondamentalismo. Prospettive psicologiche. In M. Aletti & G. Rossi (Eds.), Identità religiosa, pluralismo, fondamentalismo (pp. 25-46). Torino: Centro Scientifico Editore.
Augras, M. (1992). Le double e la métamorphose. Paris: Méridiens Klinksieck.
James, W. (1902). Th.e varieties of religious experience: a study in human nature. New York-London-Bombay: Longman. Trad. it. Le varie forme dell’esperienza religiosa. Uno studio sulla natura umana. Brescia: Morcelliana, 1998.

Jung C.G. (1938-54) Gli aspetti psicologici dell’archetipo della Madre o L’archetipo della madre (1938-54), trad. di Lisa Baruffi, Torino: Boringhieri, 1981

Jung C.G. (1954) Gli archetipi dell’inconscio collettivo (1934-54), trad. di Elena Schanzer e Antonio Vitolo, Torino: Bollati Boringhieri 1977

Lépine, C. (1981). Os estereótipos da personalidade no candomblé nàgô. In C. E. Marcondes de Moura (Ed.), Olóòrişà. Escritos sobre a religião dos orixás (pp. 11-31). São Paulo: Ágora.

Via Umbria 16/a
51016 Montecatini Terme (Pistoia)

Phone

  • 349 2206095

Email address

» get directions on Google Maps