Cos’è la Psicoterapia Umanistica

La Psicologia Umanistica, o “Psicologia della terza forza”, costituisce uno degli orientamenti più innovativi e funzionali in campo psicologico, sia per la riflessione critico-filosofica sulla “essenza dell’uomo” sia per gli apporti innovatori nel campo della pratica clinica.

Fondata negli U.S.A. nel 1962 da un gruppo di psicologi (Maslow, May, Rogers) con l’intento di esprimere un’immagine dell’uomo che differisse sia da quella della psicoanalisi ortodossa  che da quella del behaviorismo, essa sembrò rappresentare la condensazione e la confluenza di tendenze  innovatrici e di intuizioni scientifiche che da tempo andavano preparandosi e proponendosi. Secondo Maslow, confluiscono nella “psicologia della terza forza”  (terza teoria della natura umana)  gli adleriani, i rankiani, gli junghiani, i neofreudiani, gli psicologi psicoanalitici dell’io, la psicologia organismica di Kurt Goldstein, la psicologia della personalità di Gordon Allport, la terapia gestaltica, il pensiero di Marcuse, di  Wheelis, di Szaz, la filosofia, fenomenologico-esistenziale.

La Psicologia Umanistica voleva essere una protesta contro quella visione  frammentaria e riduzionista dell’essere umano che prevaleva, all’epoca, nel mondo accademico e nella pratica clinica. Fino alla prima metà del ventesimo secolo, la psicologia americana era dominata da due teorie generali della natura umana: quella sperimentale-positivistico-comportamentistica  e quella  psicoanalitica. Entrambe operavano una semplificazione dell’essere umano: per i behavioristi, l’essere  umano era una sorta di macchina, funzionante secondo il modello stimolo-risposta, di cui potevano essere osservate e studiate le manifestazioni oggettive ma non le dimensioni soggettive, interiori. L’uomo, osservato in una situazione astorica, già data e immodificabile (quella sperimentale) perdeva ogni dimensione di soggettività. Rimanevano, dunque, inattingibili la profonda complessità della personalità umana ed il suo sviluppo. La psicoanalisi freudiana, da parte sua, dava dell’uomo una visione deterministica e biologistica: l’essere umano appare determinato da potenti forze pulsionali inconsce, talora distruttive, che lo plasmano e lo dominano a loro piacimento. In entrambe le scuole di pensiero, quindi, rimanevano non considerati i valori, l’intenzionalità, il senso ed il significato della vita quali elementi fondamentali di una personalità sana e consapevole.

Nucleo centrale della Psicologia Umanistca è la concezione dell’essere umano come una totalità organismica (Goldstein), strutturata e relazionale, che ne fa un “essere nel mondo” orientato verso un fine. Ispirata alle filosofie e psicologie fenomenologiche-esistenziali, riviste e mediate però dall’ottimismo ed operativismo tipicamente americani (James, Dewey), la P.U. rivendica il ritorno alla concreta esperienza umana nella vita quotidiana:l’attenzione è posta su ciò che la persona sente, vive ed esperimenta (e sul  significato che tutto ciò assume per lei) piuttosto che su criteri esplicativi logico-causali. Si critica la tendenza della scienza ufficiale a voler applicare ai fatti umani gli stessi metodi delle scienze nomotetiche. La spiegazione causale mette a fuoco determinati meccanismi psichici ma rischia di perdere la persona reale, esistente e vivente. Si intende, ovviamente, non negare l’esistenza di determinati meccanismi psichici ma piuttosto, semplicemente, affermare che essi assumono un senso solo se inseriti nella globalità del vissuto della persona. V’è, da parte della P.U., una critica evidente nei confronti dello scientismo e razionalismo occidentali che tendono ad impoverire l’essenza dell’uomo. La P. U. ribadisce una concezione della persona che tenga conto del razionale come dell’emotivo, del mentale come del corporeo.

Si può affermare che la P. U. dà inizio ad una “psicologia della salute”, intesa come sviluppo e accrescimento delle potenzialità della persona, dal momento che, oltre che alla psicopatologia, volge il suo interesse a temi e dimensioni dell’esistenza da sempre trascurati dalla psicologia tradizionale:

  • la produttività creativa
  • i valori
  • l’amore
  • la libertà
  • la trascendenza del proprio Io
  • l’esperienza trascendentale
  • ecc.

Questo nuovo punto di vista si basa su una concezione fondamentalmente positiva ed ottimistica dell’essere umano, cioè sulla fiducia che esso possa svilupparsi verso il meglio e attuare pienamente le sue potenzialità. L’essere umano “reca in sé una spinta verso l’unità della personalità, l’espressività spontanea, l’individualità e l’identità piena”. La concezione integrata della persona, come unità bio-psico-spirituale, cambia il senso della psicoterapia, che, da recupero ed eliminazione del sintomo, diventa opportunità di crescita psicologica ed umana. Ma cambia anche il ruolo del terapeuta che non è più, semplicemente, il tecnico-riparatore di una disfunzione, ma, piuttosto, una sorta di “terapeuta-filosofo” che guida il processo di riorganizzazione dell’intera esistenza attraverso l’individuazione di un senso e significato nuovi della vita e attraverso la costruzione di un progetto di vita più autentico.

Il metodo della P.U. è olistico e dinamico: l’obiettivo è la “comprensione” del soggetto nella sua totalità individuale, funzionante e piena. L’organismo è un agente attivo che entra in un complesso sistema di relazioni con il mondo. E non è cieco: seleziona gli stimoli esterni e li riorganizza finalizzandoli. Non si può comprendere un singolo comportamento dell’uomo se non si conoscono le sue relazioni con il mondo, la sua storia personale, le sue aspirazioni, le sue speranze, il suo stile di vita, se non si colgono, cioè, la sua visione del mondo e la sua “struttura esistenziale”.

 

Abraham Maslow (1/4/1908 – 8/6/1970) elaborò una teoria della personalità (“Motivazione e personalità”-1954) in cui ha un ruolo centrale la scala dei bisogni, gerarchicamente disposti, a partire da quelli di livello inferiore (fisiologici) fino a quelli di livello superiore (i meta-bisogni cioè quelli di ordine etico-estetico-cognitivo). Secondo Maslow, una volta soddisfatti i bisogni fondamentali di base, è possibile evolvere verso la soddisfazione di bisogni di più alto livello, fino all’autorealizzazione. Il termine autorealizzazione è sinonimo di “pienezza umana”, “maturità emotiva”, “autenticità”.

Secondo Maslow, ciascun essere umano ha la possibilità, se non vi sono interferenze negative da parte dell’ambiente, di sviluppare le sue potenzialità, di realizzare cioè il senso e il significato della propria individualità. La tendenza alla autorealizzazione è il “desiderio di divenire sempre più ciò che idiosincraticamente si è, di divenire tutto ciò che si è capaci di divenire”. Per Maslow autorealizzarsi non significa raggiungere posizioni di prestigio o successo manifesto ma, piuttosto, svilupparsi secondo la propria intrinseca natura. La persona autorealizzata ha una serena accettazione di sé, delle sue sue potenzialità e dei suoi limiti; sa godere e partecipare intensamente alla vita ma sa anche apprezzare il valore della solitudine come luogo della interiorità ed occasione di autoriflessione; è capace di relazioni interpersonali profonde ed autentiche; ha una naturale propensione e preoccupazione per le sorti degli altri e del mondo; ha capacità di adattamento ma critico e non conformistico; ha la capacità di vivere esperienze “culminanti”, di perdita o trascendimento del Sé (peak-experience). Ma la caratteristica dominante della persona autorealizzata è la creatività, che non è quella comunemente intesa, cioè “quella dovuta ad un talento speciale, come nel caso di Mozart”, o quella legata ad alcune categorie professionali (pittori, scrittori….) ma piuttosto una qualità particolare del carattere (freschezza, spontaneità, efficienza della percezione), cioè quella capacità di mettersi in rapporto con la realtà e con il mondo in modo pieno ed aperto (essere aperti all’esperienza) e che si esprime in tutte le attività intraprese: è uno stile di vita. (“Verso una psicologia dell’essere” 1968)

Carl Rogers (8/1/1902 – 4/2/1987) della Psicologia Umanistica condivide la concezione organismica e la visione ottimistca. Egli concepisce la vita come processo, come costante tensione e sforzo verso la realizzazione delle proprie potenzialità. Vivere pienamente significa gettarsi “completamente nella corrente della vita”, ed esige il “coraggio di essere”, perché proporsi un obiettivo implica sempre un rischio, il rischio di fallire. La concezione della vita intesa come costante evoluzione, trova riscontro nelle formulazioni teoriche del nostro che furono soggette, nel tempo, a revisioni e ripensamenti. Il suo nome, comunque, rimane legato fondamentalmente ai Gruppi d’Incontro e alla “terapia centrata sul cliente”. Egli critica gli indirizzi terapeutici contemporanei perché manipolatori nei confronti del paziente.

Il terapeuta, in forza di una  sua presupposta superiorità (di sapere), pretende di indirizzare la vita del paziente a seconda del suo sistema teorico di riferimento. Egli, spesso, tende ad applicare rigidamente le regole e la tecnica, cercando di adattare il paziente alla teoria. In questo modo perde di vista il paziente che, così, non ha più la possibilità di esprimersi ed essere se stesso. Le tecniche per Rogers non sono tutto:  fondamentali sono anche il modo di essere del terapeuta ed il clima instaurato nel setting. La forza che spinge il paziente alla psicoterapia  è la sua intrinseca tendenza alla autorealizzazione. Rogers individua alcune caratteristiche imprenscindibili cui il terapeuta deve attenersi se vuole stabilire un rapporto empatico di stima e fiducia reciproca con il paziente e se vuole essere efficace come terapeuta:  

  1. “Congruenza personale: il terapeuta si presenta senza maschera, non interpreta un ruolo né si identifica con un personaggio ideale, non bara sui suoi sentimenti, è in armonia tra l’immagine cosciente di sé e ciò che egli sperimenta organismicamente;
  2. “Spontaneità e genuinità”: sono le condizioni più importanti per creare un clima terapeutico favorevole ad un contatto umano, da persona a persona, e ad un rapporto di reciproca stima e fiducia;
  3. “Accettazione positiva ed incondizionata”: il terapeuta accetta pienamente il paziente, non cerca di imporsi a lui, non è direttivo, non lo spinge al cambiamento, non esprime giudizi;
  4. “Comprensione empatica”: il terapeuta riesce a percepire ciò che prova il cliente nel suo mondo interiore senza per questo fondersi con lui.

Per Rogers sono sufficienti queste condizioni perché il processo di cambiamento della persona sia facilitato. Solo se possiede tali caratteristiche il terapeuta può facilitare la liberazione delle più autentiche potenzialità dell’essere umano, volte a livelli di integrazione e maturazione sempre più elevati.

Rollo May (21/4/1909-1/10/1994)  può essere considerato la mente più filosofica tra i fondatori della P.U. Egli ebbe il grande merito di diffondere l’Esistenzialismo e la Fenomenologia europei negli U.S.A.(“Existence”1958, “Existential psychology”1962). Profondo ed acuto pensatore, egli stesso, si appassionò al tema dell’ontologia. La natura dell’essere umano costituiva per lui l’oggetto di una necessaria riflessione preliminare per la fondazione di una nuova psicologia. Profondo conoscitore dei tragici e dei filosofi greci, fu introdotto da Paul Tillich allo studio di Kierkegaard e di Nietzsche. Riteneva l’esistenzialismo la concezione più avanzata e significativa della condizione umana.

A Kierkegaard dedicò una lunga sezione  de “Il significato dell’ansia” (1950), opera in cui esplorò questa dimensione centrale dell’esistenza umana, tema  che sarebbe stato il germe di tutta la sua futura produzione teorica. Successivamente, si avvicinò, con un interesse che sarebbe rimasto centrale nella sua vita, allo studio dei grandi  esponenti dell’Esistenzialismo e della Fenomenologia europee: Husserl, Heidegger, Binswanger, Merleau-Ponty, Medard-Boss. Con quest’ultimo tenne un lungo ed interessante carteggio. L’approfondimento dei filosofi europei ebbe una grande influenza sul pensiero di May, la cui riflessione si situò sempre sul confine tra filosofia e psicologia. Nei suoi lavori affrontò, infatti, i temi della presenza del male e della sofferenza nel mondo, dei valori, della volontà e della scelta (“L’amore e la volontà”1969). Dai fenomenologi mutuò un particolare interesse per il tema della ‘intenzionalità”. Secondo May, il concetto di intenzionalità, rimanendo fuori della psicologia, ha impoverito   la comprensione dell’esperienza umana non solo nell’area della volontà e del desiderio, ma anche in quella della consapevolezza. May non trascurò l’indagine  sulla società contemporanea, di cui sottolineò l’“anomia”, la spinta al conformismo, l’azione depersonalizzante sull’individuo (“L’uomo alla ricerca di sé” 1953 ). Nell’ultima fase del suo pensiero, si appassionò allo studio dei simboli e dei miti, di cui colse la funzione fondamentale nel fornire l’individuo di quella sicurezza interiore che gli consente di trovare un equilibrio nel mondo: “I miti sono strutture narrative che danno significato alla nostra esistenza”. Tra gli psicologi umanistici fu sicuramente la personalità  che meglio comprese lo spirito dell’esistenzialismo e della fenomenologia europei, di cui condivise la profondità e lo spessore della riflessione. Egli sosteneva, infatti, la fondamentale ambiguità e l’inevitabile finitudine  dell’esistenza umana, elementi che rendono tragica anche la vita più ricca. Allievo di Frieda Fromm Reichmann , Adler, Clara Thompson, fu clinico, didatta e supervisore efficace e sensibile presso il “William AlansonWhite  Insitute”. Egli ritenne la riflessione filosofica fondamentale  per l’ arricchimento e l’“umanizzazione” della psicoterapia. La filosofia diventava, così, il punto prospettico da cui partire  per un approfondimento ed una revisione di alcuni costrutti teorici  psicoanalitici e della pratica clinica. La psicoterapia, per May, è fondamentalmente un incontro umano,  condizione fondamentale  che rende legittima qualsiasi altra considerazione d’ordine tecnico o metodologico. La fondamentale costituzione relazionale della persona si rivela appieno nel processo terapeutico. Il transfert non è solo una riedizione di esperienze passate nel presente, ma è anche una situazione reale e concreta in cui è possibile realizzare una nuova relazione umana che consenta la ricostruzione di un nuovo Sé. L’“incontro terapeutico” implica l’adesione empatica a tutto ciò che il paziente sperimenta, l’attenzione a qualsiasi tipo di comunicazione venga da lui, cioè a quella complessa rete di messaggi (tono della voce, distanza, gestualità) che va sotto il nome di “linguaggio del corpo”. L’ “incontro terapeutico” è un evento reale tra due persone che giocano la loro autenticità.

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